Galleria "San Carlo" (Napoli)

1985Renzo Marchelli

 

Gennaro Corbi è un pittore classico, attribuendo a questa parola il significato di equilibrato, essenziale, composto, autentico. E' in questa accezione che sono classici un Mondrian e un Morandi pur rappresentando i plotoni di punta delle avanguardie contemporanee. Non a caso proprio Mondrian e Morandi possono considerarsi per alcuni aspetti ascendenti importanti della pittura di Corbi. Da Morandi il pittore napoletano ha ereditato il candore, la forza di sintesi la preziosità dell'impasto e da Mondrian l'esprit de Geometrie, il razionalismo e la spazialità. Ma su queste componenti Corbi ha costruito una sua poetica personalissima nella quale la sicurezza, la limpidezza e la solidità dello stile di sapore antico – toscano rinascimentale – sono pervase da un brivido di inquietudine metafisica, di malessere oscuro, che diventano sensazione palpabile della sua pittura, ne permeano la materia come una presenza fisica ineliminabile. E' il segno del tempo, di un mondo dilaniato, privo di certezze metafisiche e incapace di trasporti immediati.

In questo senso la pittura di Corbi ci rimanda alla metafisica ferrarese di De Chirico e Carrà ma con minore compiacenza letteraria e con una soluzione più pittorica e concreta. Le sue prospettive hanno la essenza e la spazialità delle tavolette lignee dello studiolo di Urbino ma all'improvviso, dietro le quinte spuntano la musa inquietante, la figura o semplicemente gli occhi, o la traccia di una presenza umana che si avvertono ma non si percepiscono nella loro interezza e quindi lasciano incerti, dubbiosi, turbati. Sono frammenti di realtà, simboli di un mondo lacerato, incapace di una convivenza armoniosa e umana. L'uomo si nasconde, istintivamente, per difendersi da un mondo orribile al quale più non partecipa e di cui ha paura.

La paura, il dubbio, restano appunto la sensazione più palpabile della pittura di Corbi. Il suo messaggio più inquieto e autentico ma mai letterario: sempre solidamente costruito con mezzi pittorici concreti, leggibile nei rapporti cromatici e plastici prima che nelle allusioni culturali.


Galleria "9 Colonne" (Trento)

1987Marina Ferrante

 

Gennaro Corbi ha le trasparenze e la luminosità dei cieli magrittiani. Ma accanto alla luce, anche buio ed oscurità rimandano ulteriori trasparenze, brillano, si illuminano come superfici permeabili, rifrangenti, che incamerano e restituiscono luminosità. E' pittura impalpabile, un tessuto, un grande subcosciente dove non tutto è visibile, ma soprattutto è intensamente percettibile. Le tavole della vita che Corbi presenta scandiscono i ritmi di una riflessione-narrazione. Linguaggio, codici e valori di una realtà che per fissarsi utilizza dogmi e regole, sono i protagonisti, i riferimenti, l'analisi che Corbi compie cercando la sintesi e la poesia attraverso un lungo percorso. La luce, l'inconscio, la fede, la legge, e ancora la memoria, il pensiero, la creazione, il sogno, la parola, l'illusione: 12 tavole, dodici tele eseguite ad olio e acrilico per viaggiare, raccontare, sintetizzare e fermare i grandi temi dell'uomo, i miti, l'universo scibile e quella dimensione che si pone al di là del mondo delle idee e della logica, fatto di fede, di spiritualità ma anche di sogno e suggestione. E' un percorso sia profondamente analitico, sia simbolico, sia sottilmente ironico: per esempio, la tavola della luce è una saetta che divide lo spazio e delimita un itinerario, la tavola della legge è un tunnel, un vortice corroso dal tempo, la tavola della fede è uno specchio tridimensionale all'interno del quale si intersecano e si intravedono alcune figure. La tavola del sogno è il mondo bianco della sfera onirica, del contenitore fantastico posto a confronto con la materica realtà dello sfondo; la tavola del tempo nasconde un orologio inesorabile e nasconde insieme un tempo relativo, la nebbia bianca che si espande. L'artista si misura in queste opere anche con le zone oscure, le zone d'ombra, l'altra faccia della medaglia, muovendosi con una sensibilità che è consapevolezza. E alla parola, quel piccolo grande immenso mezzo di accesso al mondo, Corbi dedica una tavola ricca d suggestioni e di echi significanti. Parole che scorrono a testimoniare dell'epoca in cui viviamo. Leggiamo: “ interventi, bisogni, cambiamenti, regola generale, conoscenza, bersaglio, strategia, disegno, sviluppo, considerazione in arte...” tra stampatello e corsivo, simili a un tramonto o ad un'alba di parole.

galleria "Il Diagramma" (Napoli)

1989Luigi Castellano

 

L'opera che qui s'introduce vive come grande autoritratto di un artista e luogo di incontri ed ombre intraviste e sofferte.

Raccolta dell'avido e fragile desidero di vivere un mondo di avventure, di piccole cronache, di realtà, di “ invenzioni “ rapite al desiderio da un filo visibile,e pur licenza ed indagine che regola le nostre letture, le dediche, le scelte di origini irrimediabilmente perdute.

Non riordinata e non tradotta ricostruzione della vota stessa dell'artista, questa mostra è la versione integrale di memorie che si costituiscono in grande complessità. Un luogo dove si incontrano lusinghe o piaceri ricorrenti, che fanno un racconto lungo di vissuta interminabile realtà e situazioni che si ripetono nell'illusione di possederle ancora.

Formule, dimensioni, avventure colorate e grandi posti tra frontiere di spazi e di tempi che si intersecano sulla scena di un teatro lungo e si costituiscono in -categorie-dell'umano.

Le “ azioni principali “ ambientate per evocare racconti inespressi, erranti, che spaziano con voli vertiginosi di un remoto passato di un tempo futuro, e tuttavia non velleitaria alternativa per accettare condizioni, colloqui e sequenze come per un venditore ambulante, davanti ad un muro.

Constatazione, superamento di vita per ritrovare o riprendere ogni giorno il tema e così inaugurare testi ed accettare condizioni nelle sequenze del lungo dramma dei nostri giorni.

Ed aprire nuove lacerazioni contro finzioni di brani di altro teatro senza nome, senza spessore, da mediocre bestiario.

Il bianco neutro destinato a mutarsi in una successione di spazi da colorire e da contrapporre a documentazioni di dipartite. Un senso esposto, un interminabile danza di ruoli e di apparenze come il denudarsi della menzogna nell'alcova della verità.

Ed ancora un non pià girovagare tra gigantografie e fotocopie di altre vite addossate da una tipologia di clichè ad un “ realismo “ malato in gallerie di distillate impersonalità.

E non sarebbe meno forte uscire dal corpo profondamente serio di queste opere che riflettono attrazioni e maniere di spessori, voluti, di intuizioni e contraddizioni attentamente coltivate per offrirsi a questo racconto diretto, dialogico ed idealmente concreto di mirabile semplicità ed efficacia ma anche per concentrazioni e fascino di commozioni, vivendo così tra particolari stupori e condizioni che possiedono la saggezza e la maturità di un'intelligenza affettuosa e disperata. Un laboratorio di vita per gente d'arte che ancora ambiscono ad un sentire consapevole di un sempre “ nuovo “ qui evocato